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  • Immagine del redattoreLisa Bonsignori

I MIEI Stati Uniti - Lisa


Mi riconoscete? Sono proprio io, a 18 anni, durante il mio primo viaggio negli Stati Uniti, il mio primo vero viaggio.  Un viaggio che per ora non è stato ne eguagliato ne superato da nessun altro per una serie di motivi, uno ad esempio è la durata. Ai tempi andavo ancora al liceo e lavoravo in un ristorante per la stagione estiva, ciò mi permise di stare fuori di casa per ben 25 giorni, cosa che potrò rifare probabilmente una volta andata in pensione! I miei professori non furono molto felici che io attaccassi due settimane alle vacanze di natale, ma superarono la cosa e mi passarono lo stesso. Un viaggio on the road, durante il quale ho percorso centinaia di chilometri tra i paesaggi più diversi mangiando quantità industriali di patatine. Proprio così, il mio amore per maionese, ketchup e salse varie è nato in questa occasione. Un viaggio composto da 8 aerei presi, 7 letti nei quali ho dormito, 6 Stati Americani visitati, 4 fusi orari diversi ai quali mi sono abituata. Uno di quei viaggi nei quali non importa se ti sei portata tutto l’armadio dietro e se non ti sei risparmiata dello shopping, prima o poi ti dovrai fermare in una lavanderia a gettoni per lavare i tuoi vestiti. In questo viaggio, iniziato con il Natale in Luisiana a casa dei genitori dei miei amici, proseguito con il giro dei grandi parchi e terminato con una settimana al mare alle Hawaii, ho conosciuto l’America vera e i veri americani. Nonostante sia tornata negli Stati Uniti altre due volte, le sensazioni che mi hanno lasciato New York e Miami sono state completamente diverse. La prima, che amo, la considero città del mondo, se non addirittura la capitale. La sua popolazione, per quanto sia eterogenea, si muove perfettamente all’unisono del ritmo frenetico di una metropoli che non dorme mai. Dal venditore ambulante al broker, da chi ha origini irlandesi a chi le ha indiane, sono tutti musicisti della medesima orchestra che suona la musica della città. Riconosci un newyorkese dal suo modo di fare, di parlare e di camminare, non dal suo aspetto. Mi piace pensare che potrei diventare un po’ newyorkese anche io, con il tempo, se andassi a viverci. Miami invece, che adoro, ha caratteristiche ancora più diverse. Prima di tutto l’influenza caraibica si fa sentire, anzi oserei dire che prevale. A partire dal fatto che si parla più spagnolo che inglese; mi faceva davvero strano sentire un Hola al posto di un Hello ogni volta che entravo in un negozio! I suoi abitanti, o meglio quelli che ho visto io a South Beach, sono molto appariscenti. Dai vestiti che indossano alle auto che guidano. Canotte scollatissime, grandi collane e macchine sportive dai colori sgargianti. Un vero spettacolo vederli sulla spiaggia riuniti intorno agli stereo portatili e alle ghiacciaine, li guardavo curiosa e affascinata e mi sarebbe piaciuto molto unirmi a loro. Sono passati undici anni da quel viaggio, credo di essermi dimenticata qualche particolare, qualcosa che ho visto, qualche hotel in cui ho dormito, qualcosa che ho mangiato; ma mi ricordo benissimo ogni sensazione che ho provato. La prima cosa che ho realizzato è stata che tutto era più grande, a partire dalle auto. Solo suv in giro, niente che potesse assomigliare ad un’utilitaria, la più piccola che ho visto era almeno due volte più lunga e due volte più alta della mia 500. Forse era solo questione di spazio visto che anche le persone erano altrettanto grandi, mi sono sentita molto spesso uno hobbit. Di conseguenza, per soddisfare il fabbisogno alimentare, qualsiasi cosa al supermercato veniva venduta in confezioni oversize. Parlo di taniche da litri e litri di latte, acqua, succo di frutta e così via. Uno dei più bei regali che mi hanno fatto quegli sterminati scaffali è stato il succo di frutta frizzante alla mela, non lo ritroverò mai! Anche molte delle famiglie sono grandi, tanto da non poter festeggiare il Natale seduti a tavola tutti insieme. Perciò ognuno prepara prosciutti arrosto, tacchini ripieni e via dicendo, da offrire a figli nipoti e bisnipoti che passano a fare gli auguri, praticamente una festa continua che dura giorni e giorni! Abbiamo trascorso piacevoli giornate in Luisiana, scandite dai ritmi lenti e dal tiepido sole del sud. Girando per i dintorni di Lake Charles fino ad arrivare ai paesi affacciati sul Golfo del Messico, ho assistito al triste spettacolo che ha lasciato l’uragano Kathrina dopo il suo passaggio, un anno prima. Alcune delle case distrutte sono state abbandonate con ancora i mobili all’interno, impossibile non versare una lacrima di fronte a quel che resta di una bandiera a stelle e strisce che continua a sventolare. Lasciata la Luisiana siamo volati fino a Los Angeles, abbiamo preso un’auto a noleggio e abbiamo visitato il Grand Canyon National Park, la Monument Valley e il Bryce Canyon National Park, per poi raggiungere Las Vegas in tempo per festeggiare il nuovo anno. La nevicata che al nostro arrivo in Arizzona ci ha accolto ha limitato molto la visibilità della profonda gola scavata dal Colorado River, ma siamo stati ripagati dal l’eccezionale tramonto al quale abbiamo assistito alla Monument Valley, senza neve non sarebbe stato altrettanto emozionante. La strada percorsa per raggiungere il Bryce Canyon, nello Utah, è stata una piacevolissima sorpresa. Mi ricordo di aver pensato di non aver mai visto prima un paesaggio tanto singolare, con case di legno innevate ornate di teschi di bisonte, mi sembrava di essere tornata in dietro nel tempo. Dello Utah mi hanno anche colpito le regole, ad esempio per fumare non bastava uscire dai locali ma dovevo allontanarmi anche di alcune decine di metri, nei ristoranti chiedevano chi fosse il guidatore e non gli consentivano di bere alcolici. Sembra quasi impossibile che confini con uno stato come il Nevada, dove tutto è concesso! È stato divertente arrivare al Caesar Palace, il nostro hotel a Las Vegas, con il suv completamente ricoperto di terra rossa, ci siamo sicuramente distinti dagli altri che scendevano da lussuose limousine. Passare dalla natura incontaminata alle luci accecanti di Las Vegas poteva essere drammatico per molti, ma non lo è stato per me. Ho ammirato da subito la capacità ingegneristica dell’uomo per aver creato in un deserto la capitale mondiale del diverto e dell’intrattenimento. Ovviamente la città non offre niente di culturale, ma sotto alcuni aspetti potremmo considerare i suoi hotel delle vere opere d’arte. Vi devo confessare che mi sono commossa quando ho assistito allo spettacolo delle fontane del Bellagio, giochi di luci e getti d’acqua danzanti al ritmo di una delle più belle canzoni di Bocelli, con te partirò. Essere così lontana da casa e sentire all’improvviso cantare nella mia lingua mi ha fatto sentire un briciolo di nostalgia e il pensiero che tra milioni di canzoni ne avessero scelta una italiana mi ha reso fiera del mio paese. Potrei raccontarvi molti aneddoti sul mio soggiorno a Las Vegas, le numerose volte che mi sono persa nel centro commerciale del Caesar Palace ad esempio, o quelle in cui non trovavo l’ascensore giusto per raggiungere la mia camera. Ma non voglio dilungarmi troppo, vi dirò solo che in tre giorni non sono riuscita a vedere tutto quello che offre e che conto di tornarci prima o poi, soprattutto adesso che ho più di 21 anni (molto di più ormai) ed ho libero accesso ai locali! Durante il viaggio in macchina fino a Los Angeles abbiamo visto cambiare nuovamente il passaggio, questa volta mi è sembrato di essere sulla Luna.Non ci siamo soffermanti alla Death Valley, ma le aride distese di terra grigia hanno fatto comunque il loro effetto. Non vi ho ancora parlato degli indiani d’America. Forse per mia pura ignoranza, ma non credevo di vederli o meglio di distinguerli dagli altri; davo per scontato che, a parte nelle riserve ancora esistenti, si fossero mischiati agli altri e avessero perso le loro tipiche caratteristiche somatiche. Non sto parlando di copricapi fatti di piume o di gilet di pelle, i ragazzi che ho incontrato indossavano t shirt e si divertivano in sala giochi, ma ho notato la loro pelle ambrata, gli occhi e le labbra sottili e la loro voluminosa stazza. Sono rimasta incuriosita dai discendenti dei nativi americani tanto quando dagli hawaiani, perché anche in questo caso ignoravo la loro esistenza. Dovete perdonare le mie eresie, sto cercando di raccontare questo viaggio esattamente come l’ho vissuto, da diciottenne mai uscita dall’Europa prima di quel momento. Ero consapevole del fatto che stavo andando in un’isola nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, tanto lontana dall’America quanto dall’Asia, ma per qualche strano motivo mi aspettavo di trovare… Beh, diciamo pure che non mi ero proprio posta il problema di come potessero essere gli hawaiani! Ed invece, tra i classici “bianchi” stile europeo, ho potuto notare persone dalla pelle ambrata, con volti bellissimi contraddistinti da lineamenti orientali, fisici magri ma tonici, bassa statura, gambe insolitamente più corte rispetto al busto. Quest’ultima caratteristica mi è rimasta particolarmente impressa, così come il nostro alloggio durante in nostro soggiorno.  La casa che abbiamo preso in affitto a Ohau era un vero e proprio sogno; aveva rifiniture in legno e tappezzeria con i tipici motivi hawaiani, una grande cucina all’americana dove la mattina preparavamo i pancake, una grande terrazza che dava direttamente sulla spiaggia e una vasca idromassaggio dove ogni sera prima di cena ci rilassavamo. Ho adorato quella casa, ammetto di avere versato qualche lacrima mentre rifacevo le valige. Per quanto riguarda il mio rapporto con l’isola invece, ho incontrato non poche difficoltà con la balneazione sulle spiagge del North Shore. Al primo tentativo la corrente era talmente forte che nonostante fossi a un metro dalla battigia non riuscivo a uscire dall’acqua, al secondo e ultimo tentativo sono rimasta senza costume per un’ondata e rotolavo sulla riva completamente nuda senza riuscire a rialzarmi, potete immaginare l’imbarazzo. Visto che i miei amici non avevano la minima intenzione di portarmi in tranquille spiagge come Waikiki, decisi di limitarmi a prendere il sole e a osservare il divertentissimo spettacolo che mettevano in scena i baywatcher. Dimenticatevi i nostri bagnini, quegli hawaiani svolgono un ruolo più paragonabile ad un pompiere o un poliziotto, rischiano la vita e sono delle vere e proprie autorità. Qualche minuto prima che arrivi una batteria di onde la annunciano all’alto parlante indicando quantità e altezza e ordinando a chi si trova in acqua senza pinne di uscire immediatamente. Se qualche genio non obbedisce inizia il divertimento. “Ehi tu con il costume rosso, secondo avvertimento, se vuoi restare in acqua vai a metterti le pinne” ” Tu con il costume giallo, devi uscire dall’acqua non nuoti abbastanza bene” “dove sono i genitori del bambino con la tavoletta e il costume blu? Non può assolutamente stare da solo” per chi risponde alla prima tutto bene, ma chi ha il coraggio di ignorarli e di farli arrabbiare poi ne deve pagare le conseguenze, ad esempio una famiglia è stata bandita dalla spiaggia per aver lasciato i figli in acqua durante una batteria di onde. Ho assistito anche ad un salvataggio, inutile dire che il bagnino aveva richiamato il ragazzo decine di volte perché stava andando troppo a largo ma ne avvisi ne fischi lo avevano fermato, poi al momento di rientrare a riva la corrente era troppo forte e trovandosi in difficoltà ha alzato un braccio per chiedere aiuto. Il baywatcher è sceso a corsa dalla sua torretta e si è diretto dalla parte opposta della spiaggia, quando si è buttato in acqua poi ho capito che stava sfruttando un punto in cui la corrente giocava a suo favore e in pochi minuti lo ha raggiunto. È stato emozionante. Siamo arrivati al termine del racconto, concluderei dicendo che il primo viaggio è un po’ come il primo amore, non si dimentica mai. Sono felice di aver condiviso con voi pensieri, ricordi e sensazioni di una giovane me, prima che diventassi un’agente di viaggio. Sicuramente questa esperienza, vissuta quando ancora non avevo le idee chiare su che cosa fare nella mia vita, è stata uno dei motivi per i quali ho scelto il mio lavoro, perchè ha fatto nascere in me una curiosità irrefrenabile nei confronti di tutto quello che è diverso da me e da dove vivo, persone paesaggi e culture.  Ringrazio i miei amici, Cristian, Alessia, Beppe e Vittorio, per avermi portato con loro. La madre di Cristian e Beppe, Marjan e suo marito Henri per avermi ospitata nella loro casa. Ringrazio i miei genitori per avermi permesso di vivere questa unica esperienza che mi ha fatto crescere e mi ha reso migliore.




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